Palazzo delle Contesse – piazza papa Luciani – Mel (BL)
5 – 8 maggio 2016
Opere in ricamo e “lavori donneschi” di Cielo Pessione e Chiara Valentini: un dialogo con le spose
Già nel ‘700 cominciano ad essere diffusi periodici rivolti al pubblico femminile: nel 1848 a Milano esce un quindicinale dall’esplicito titolo “La ricamatrice” che affiancava racconti, poesia ad articoli di moda e costume, consigli per la conduzione domestica e lavori femminili.
Sono pubblicazioni indirizzate al pubblico delle classi medie di un’Italia in grande tumulto, in cerca di una propria definizione che cercano di formare la donna della nuova società risorgimentale.
Il ruolo femminile è quello tradizionale: custode della casa e della moralità della famiglia, dedita ai “lavori donneschi” e all’educazione dei figli.
Da sempre donne di ogni ceto ed età erano chiamate ad un’incessante attività manifatturiera, di uso perlopiù domestico. Occorreva infatti produrre il così detto ‘corredo’: quell’insieme di tovagliati, lenzuola e tessuti minuti che sarebbero serviti lungo tutto l’arco dell’esistenza. Anche i nastri, i pannolini o i canovacci erano intrecciati ed abbelliti personalmente.
Le signore più abbienti ricamavano per diletto e per creare lussuosi oggetti da donare. Le popolane, con lavori commissionati da istituzioni filantropiche, aggiungevano qualche entrata ai magri bilanci familiari. Il lavoro delle orfane, delle carcerate e delle suore di clausura si aggiungeva a quello delle contadine in un gran movimento di valorizzazione e diffusione del saper fare che vide nelle grandi expo di Parigi e Baltimora l’aprirsi ai mercati internazionali ed il formarsi di scuole su base regionale che ancor’oggi sono attive.
L’educazione e la scolarizzazione femminile ottocentesca prevedeva che i “lavori donneschi” fossero la principale attività didattica, ritenendoli fondamentali per la futura vita adulta delle bambine. Veniva impartita qualche nozione di lettura, scrittura e capacità di far di conto ma era quel tanto che bastava per la conduzione della casa. Il ricamo, potrebbe sembrare paradossale, è stato un mezzo di riscatto sociale, l’espediente che ha condotto alla scolarizzazione femminile.
Chiara Valentini nel 2008 realizza il proprio autoritratto intervenendo con grossi punti della tecnica più accessibile e diffusa del ricamo: il punto croce. Ci aggiunge una lacrima, che si allunga in lunghe filze passanti, espressive e libere da preoccupazioni tecniche. La perfezione del punto, obiettivo e tormento per le mani laboriose pre-industriali, qui non conta, l’artista interviene con un gesto familiare ed istintivo.
Cucito e ricamo sono il mio mezzo di espressione perché è lì che ho trovato la delicatezza e allo stesso tempo la forza di cui avevo bisogno.
Sono da sempre attività legate alle donne, per molto tempo ingiustamente non considerate per il loro valore artistico, oltre che tecnico; ma che come tali sono state utilizzate come mezzo di espressione, più umile e meno fragoroso di altri, ma non per questo meno incisivo.
Materiali e tecniche non usuali, almeno ai tempi dei suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti a Bologna quando intravide le possibilità plastiche del feltro modellato a mano, accanto a quelle più consuete della pietra o dei metalli, precedentemente studiate.
Cielo Pessione parimenti trova nelle attività femminili un mezzo adatto alla propria arte: gli studi al liceo artistico prima e all’Istituto Nazionale per la Grafica poi le avevano dato gli strumenti tradizionali: il disegno e le tecniche dell’incisione; una malattia che la confinò nell’ambito domestico le fece trovare una gugliata di filo, un pezzo di stoffa, l’uncinetto ed il ricamo come mezzo per tradurre le sue idee:
Adoro realizzare in oggetto quello che immagino. E quello che immagino è spesso quello che mi manca: un equilibrio esterno a me, la forma dettata dal senso o dalla funzione, la bellezza come risposta. E quello che cerco è anche un legame, sottile ma tenace, con il passato dell’arte e con i suoi trionfi, con la grandiosità insita in ogni sua espressione, anche la più piccola.
Il mio lavoro è incentrato sulle possibilità che la tecnica ha di seguire e realizzare quello che la mente idea. Così per me non solo è importante mettere a fuoco quello che intendo dire ma anche trovare i giusti strumenti per tradurlo in aspetto visivo.
Sono affascinata dagli strumenti e dalle tecniche più semplici, la cui storia è spesso legata agli ambienti femminili e ad una quotidianità famigliare ma che, grazie alla loro potenzialità, possono uscire da una sfera così intima e rappresentare pensieri, azioni e proponimenti in una dimensione diversa, quella dell’arte e del suo valore pubblico.
Un fare tipico dell’uncinetto, una maglia alla volta, in successione meditata, in un processo logico i cui principi si possono ritrovare in natura, nella crescita delle piante o nella formazione dei minerali.
Scelte consapevoli e argomentate quelle delle due artiste, nate una sul finire degli anni ’50 l’una e nel 1981 l’altra, che dialogano con la meticolosa attività delle generazioni e generazioni di donne intente a confezionare ed abbellire il proprio o l’altrui abito nuziale, ad allestire il “corredo” o a lavorare nei ritagli di tempo per ricavare qualche reddito per sé o per la famiglia.
Quello di Cielo e di Chiara è un ricamare che non si piega alle logiche del passato: dovere, diletto, necessità. Non è nemmeno il nostalgico e ripetitivo universo dei passatempi attuali.
Il filo che racconta squarci di esperienze intime, quello che disegna o analizza le forme ed i ritmi vitali è, nelle loro mani, un linguaggio della contemporaneità: dilettevole, forse, ma certamente necessario al riscatto di tutte.