Paolo Uliana, 27 maggio 2017
Più che per l’edizione di Amelia, quella di Nazzano mi ha fatto provare quel senso di appartenenza a Feltrosa che si può provare quando la vedi svolgere nei “tuoi posti”, in luoghi che ti sono familiari e cari.
Nato da una donna del Sud e da un uomo del Nord, vissuto metà della mia vita a Roma e il resto in Umbria e a Firenze, ho sempre negato di sentirmi parte di un luogo specifico ma piuttosto libero di sentirmi bene dove stavo, a prescindere dalle mie origini.
Quest’anno invece ho provato più di un’appartenenza: quella legata al magnifico paesaggio nel quale ci siamo trovati ad agire: un paesaggio antico, “romano”, dove la presenza rasserenante del Fiume dava al mio Io ancestrale la certezza della vita, l’abbondanza di cibo e di acqua.
Un altro senso di appartenenza, questa volta a Feltrosa in senso specifico, l’ho provato una volta tornato a casa: vedere con la coda dell’occhio un caschetto bianco o una testa ricciuta e pensare a Bodil o a Marco mi ha fatto capire quanto profondo sia ormai il mio “essere Feltrosa” che edizione dopo edizione si è fatto strada in me.
Tornando al paesaggio, tema dominante (quanto mai prima) dell’edizione di quest’anno, un’autentica rivelazione è avvenuta per me durante la gita sul fiume, quando ho capito perché il fiume sia stato un elemento così determinante nell’evoluzione umana.
——————-A parte l’acqua e la selvaggina, il fiume dà l’idea di un ambiente naturale amico, sereno e privo di sgradevoli sorprese.
Ovviamente, immagino, non sarà esattamente così ma la sensazione è proprio quella di aver trovato il posto adatto per mettere su casa e si capisce bene perché tante città siano sorte lungo le rive di un fiume e preferibilmente su una comoda isoletta al suo interno.